Di Marco Vesperini
L’acquisto della cittadinanza italiana da parte di persone extracomunitarie è stato negli anni un tema fortemente dibattuto. Molti sono stati gli slogan nelle varie elezioni da sinistra, eppur oggi, nel 2014, questo paese non è riuscito a dotarsi di una legislazione chiara in merito. Indietro, ancora una volta, rispetto molti altri paesi dell’Unione Europea.
MACERATA – Come spieghereste ad un bambino che seppur nato in un paese, possiede meno diritti rispetto un suo compagno? Una domanda che sempre più persone si sono poste dato il cambiamento demografico avvenuto negli ultimi trent’anni nel nostro paese.
Abbiamo chiesto al dott. Preci, cittadino albanese che da molti anni vive in Italia, dove ha condotto i propri studi di giurisprudenza, ex membro del Cda dell’Università, nonché da sempre attivo per portare questo dibattito nella società civile, cosa prevede la legge e quali strumenti legislativi si stanno mettendo in atto.
Gentjan Preci lei vive da molti anni in Italia dove lavora ed ha concluso il suo percorso di studi in giurisprudenza con una tesi sullo “Ius Soli”, perché questa scelta?
La scelta dell’argomento della mia tesi è derivata dal dibattito politico che ultimamente si è acceso in Italia. La situazione in cui si trovano le seconde generazioni (figli degli immigrati nati in Italia) mi ha incuriosito molto e quindi ho iniziato ad approfondire questo tema, oggi di stringente attualità.
Può spiegarci l’importanza di un tema che negli ultimi anni è molto sentito anche nel nostro paese dove le nuove generazioni sono a contatto con cittadini comunitari ed extracomunitari più che nel passato?
Sicuramente è un tema molto discusso negli ultimi tempi, che è stato accantonato perché scomodo, di importanza secondaria per l’agenda politica dei governi susseguitisi negli anni. La disciplina della cittadinanza è regolata dalla legge 91 del 1992 che nasce “già vecchia” in quanto non tiene conto del fatto che l’Italia era non più un paese di emigrazione ma piuttosto di immigrazione ormai; questa legge tutela particolarmente gli italiani che vivono all’estero mentre evidenzia una certa chiusura verso gli stranieri che vivono stabilmente sul territorio nazionale. Oggi, nel 2014, nonostante i nuovi cittadini (le cosiddette seconde generazioni) in Italia siano quasi un milione, non esiste ancora una legislazione in grado di riconoscere loro la cittadinanza e i diritti fondamentali a quest’ultima collegati: I ragazzi/e nati in Italia da genitori stranieri infatti, devono attendere il compimento del 18° anno di età per poter chiedere il riconoscimento di questo diritto, nonostante frequentino le stesse scuole e seguano lo stesso percorso dei loro coetanei italiani.
Cosa ne pensa della riforma di legge sulla cittadinanza portata avanti dal governo Letta? Le linee generali che sembrano saranno contenute nel testo della legge possono dare una risposta reale?
Con la conversione in legge e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale (il 20 agosto 2013) sono diventate definitive le norme previste dal cosiddetto “Decreto del Fare” per le seconde generazioni, l’intervento legislativo più rilevante posto in essere da quel governo sul tema dell’accesso alla cittadinanza. Un intervento che, pur semplificando il cammino verso la cittadinanza dei figli dell’immigrazione nati e cresciuti in Italia, non esaurisce la complessità della questione: la sostanza del problema resta invariata e a pagare il prezzo sono coloro che non hanno nessuna colpa, tranne quella di essere nati da genitori stranieri.
Come crede dovrà interagire una legislazione italiana nel contesto europeo? Basti pensare alle ricette varie dei singoli paesi europei, il doppio ius soli di Francia, Lussemburgo, Olanda, Spagna e lo ius soli per residenti previsto per Germania, Irlanda e Regno Unito.
La normativa italiana in materia di cittadinanza è certamente la più restrittiva tra quelle adottate dai Paesi della UE, anche da quelli esposti ad ingenti flussi migratori. Nell’ordinamento Italiano, l’accesso alla naturalizzazione giuridica da parte di un cittadino straniero è ammesso dopo un periodo di residenza di dieci anni, che diventano quasi sempre dodici o tredici per via delle lungaggini burocratiche. Sia in Francia che nel Regno Unito sono invece richiesti cinque anni.
Anche in un paese come la Germania, tradizionalmente legato a un’idea di cittadinanza improntata allo ius sanguinis, così come nella tradizione giuridica italiana, la normativa introdotta nel 2006 ha abbassato a otto anni il periodo di tempo necessario per richiedere la naturalizzazione e ha inoltre notevolmente semplificato le procedure per l’acquisizione della cittadinanza da parte dei minori stranieri nati e/o residenti nella Bundesrepublik.
In Spagna la legislazione è alquanto simile a quella italiana, tuttavia nella prassi, e anche “de iure”, gli ostacoli frapposti all’acquisizione della cittadinanza sono inferiori rispetto a quelli che si incontrano solitamente in Italia. Il punto è che in Italia l’acquisizione della cittadinanza non si configura ancora come un diritto garantito ma rimane una concessione, legata ad una scelta discrezionale della Pubblica Amministrazione competente, con i caratteri di arbitrarietà e insindacabilità che ciò implica. Serve una legge che aiuti l’integrazione degli stranieri, sulla falsariga degli altri paesi europei. Una soluzione potrebbe essere , ad esempio, una scelta legislativa improntata al criterio dello ius soli temperato, in modo che il figlio di immigrati, nato e cresciuto in italia, diventi cittadino italiano dopo aver concluso un ciclo scolastico.
Questo tema spesso viene correlato all’immigrazione, anche nella “Fortezza Europa”, quanto crede che questo incida e come secondo lei?
I grandi processi geopolitici e macroeconomici mondiali in questo momento hanno spostato il baricentro politico ed economico molto lontano dal nostro continente: al centro dei nuovi fenomeni globali ci sono paesi come la Cina, l’India, il Brasile, per citarne alcuni, mentre l’Europa sembra sempre più essere stata ridotta ad un ruolo marginale, schiacciata in una posizione periferica. L’Europa non può pensare di resistere all’impatto di questi fenomeni ripiegandosi su se stessa, arroccandosi nella difesa delle proprie identità, ma è appunto aprendo le proprie frontiere ed affrontando con coraggio i temi dell’immigrazione che essa può aprire nuove prospettive di crescita e di progresso. Occorre puntare su quella grande risorsa che i cittadini extracomunitari rappresentano per i paesi europei, e per far ciò è necessario che questi ultimi arrivino ad una posizione unitaria e condivisa sul tema. Da qui passa la grande sfida del futuro della “vecchia” Europa.
Qual è il suo punto di vista, l’Italia ce la farà a dotarsi di una legislazione chiara in materia?
L’importanza della questione “seconde generazioni” e l’urgenza di una più equa ed avanzata normativa sulla cittadinanza è stata sollevata in più circostanze. Molte sono state le proposte avanzate in parlamento ma manca la volontà politica di approvare una legge organica sulla cittadinanza, che garantisca a tutti i figli degli stranieri, nati e cresciuti in Italia, il diritto di partecipare alla vita politica e sociale di un Paese che è loro ma che li considera “non-cittadini”, “soggetti con permesso di soggiorno”, o “cittadini di serie b”. Recentemente sono state emesse varie sentenze che hanno sottolineato l’inadeguatezza di questa legge; adesso spetta al potere legislativo modificarla. La politica deve prendere atto che i tempi sono ormai maturi.