
Fonte immagine: Il Post
di Riccardo Marchionni
PORTO SANT’ELPIDIO – Al Referendum costituzionale del 4 dicembre voterò No. Non perché qualcuno mi abbia convinto, in realtà non mi hanno convinto le tesi degli schieramenti politici a favore del Sì, e neanche di quelli a favore del No. Il dibattito politico è pieno di semplificazioni travianti, notizie false diffuse ad hoc, strumentalizzazioni di basso livello. Non mi hanno convinto nemmeno i molti articoli scritti da economisti, giornalisti, esperti di web e marketing, e di tutta la gente che oggi conta su internet. Non conoscono nemmeno il linguaggio specifico della materia, come pretendono di scriverne?
Ho ritenuto interessanti e degni di nota invece quasi tutti gli interventi dei costituzionalisti e dei politologi, sia quelli a favore del Sì che del No. Sono molto più sensati, pertinenti, proprio come se studiassero la materia quotidianamente, guarda un po’. Poi ho comunque voluto mettere a confronto in autonomia il testo attualmente in vigore con quello della riforma Renzi/Boschi, e ne ho tratto delle conclusioni personali.
Potete seguire il mio ragionamento consultando parallelamente il confronto tra i due testi e un’infografica abbastanza completa fatta dal Sole 24 Ore(consigliata per chi ha basi di Diritto Pubblico e/o Costituzionale).
Innanzitutto bisogna analizzare il contesto in cui questa riforma è stata partorita. L’attuale Parlamento è stato eletto nel 2013 con una legge elettorale denominata giornalisticamente “porcellum”, che è stata poi dichiarata incostituzionale con sentenza n.1/2014 dalla Corte Costituzionale. Le parti più importanti che sono state abolite sono state le liste bloccate(cioè la possibilità per le segreterie di partito di stilare una lista secondo il quale ordine i candidati deputati entrano in Parlamento), e il premio di maggioranza (spropositato).
Quindi a legislatura già iniziata si è scoperto che il Parlamento era stato eletto con una legge incostituzionale. La Consulta non ha dichiarato il Parlamento illegittimo per garantire la continuità dello Stato. Perché se così non avesse fatto, si sarebbe creata una situazione di stallo istituzionale che nessuno avrebbe potuto sbrogliare.
Un gesto di correttezza da parte del Presidente della Repubblica sarebbe stato quello di sciogliere le camere il giorno dopo questa sentenza, così da dare la possibilità al popolo sovrano di eleggere un nuovo Parlamento pienamente legittimo che avrebbe potuto operare in serenità, senza pecche morali.
È giusto quindi dire che la riforma è da bocciare perché il Parlamento è illegittimo? No. È giusto dire che questo Parlamento è formalmente legittimo ma moralmente illegittimo, e quindi non si dovrebbe azzardare a toccare niente che non sia ordinaria amministrazione.
Immaginate che nel vostro condominio un amministratore scaltro e voglioso di fare carriera faccia cambiare il regolamento condominiale a suo vantaggio durante un’assemblea senza numero legale. Che fareste? Direste per caso “ma sì, che problema c’è, anche se non c’era il numero legale va bene lo stesso, hanno fatto così anche nel condominio di mio cugino. Ormai i regolamenti si fanno così, è la modernità”?
Per semplicità esplicativa ci soffermiamo sui temi principali di questa riforma: nuovo Senato, rapporto Stato-Regioni, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale, rapporto Governo- Parlamento, strumenti di democrazia diretta.
Nuovo Senato
Nell’Art. 55 sono elencate le funzioni del Senato(che non viene abolito, ma solo depotenziato). Queste funzioni sono sconnesse tra di loro, alcune sono improprie, altre non sono chiare.
- Funzione di rappresentanza delle istituzioni locali (essendo composto da Sindaci e Consiglieri regionali, mi pare logico)
- Funzione di raccordo tra Stato e altri enti costituzionali
- Funzione di raccordo tra Stato, altri enti costituzionali e Unione Europea
- Funzione legislativa concorrente(rimangono alcune materie in cui il Senato ha gli stessi poteri della Camera nel procedimento legislativo)
- Funzione di partecipazione alla formazione e all’attuazione di atti normativi delle politiche dell’Unione Europea. (Come parteciperà il Senato italiano alla formazione degli atti normativi dell’Unione Europea? Servirebbe cambiare i trattati internazionali per introdurre una cosa del genere.)
- Funzione di valutazione delle attività delle pubbliche amministrazioni. (I Consiglieri regionali e i Sindaci si valuteranno tra di loro, ottima strategia…)
- Funzione di valutazione dell’impatto delle politiche dell’Unione Europea sui territori(anche qui la scelta non è ottima, si fanno valutare le politiche da chi le subisce. Una situazione così si presta a valutazioni strumentali. È sempre meglio che sia qualcuno fuori dai giochi a valutare l’impatto delle politiche.)
- Funzione consultiva sulle nomine di competenza governativa
- Funzione di verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato
Più avanti vedremo quali sono le materie in cui resta il bicameralismo paritario.
L’Art. 57 tratta la composizione del Senato. Si evince da quest’articolo che il nuovo Senato sarà sproporzionato nella sua composizione sia per quanto riguarda il rapporto tra le regioni, sia per i senatori di nomina presidenziale.
Sono previsti minimo due senatori per Regione, tranne che per il Trentino Alto-Adige, che in definitiva ne avrebbe 4, perché alle provincie autonome di Trento e Bolzano(uniche a sopravvivere) vengono assegnati due senatori a testa.
Questa previsione ci da il senso di quanto questa riforma sia influenzata e contaminata da situazioni contingentali. È chiaro che i senatori di Svp hanno garantito il loro voto alla riforma a patto di ricevere condizioni più favorevoli per il loro territorio. Siamo sicuri che si possa riformare la Costituzione facendo certi compromessini da leggina ordinaria qualsiasi? O forse sarebbe il caso di non farsi influenzare da certi modi di fare, almeno in un contesto di riforma costituzionale?
Al Presidente della Repubblica spetta la nomina di 5 senatori, che durano in carica un massimo di 7 anni(art. 59). Questa seconda sproporzione è ancora più grave, in quanto fino ad ora, con la possibilità da parte del Presidente della Repubblica di nominare un massimo di 5 senatori a vita(quindi non sempre in un settennato di presidenza c’è la possibilità di nominarne 5) il potere presidenziale influiva per l’1,59% sulla composizione del Senato. Irrilevante. Con le regole della riforma il Presidente della Repubblica inciderebbe per il 5% sulla composizione del Senato, che pesa ancora di più in quanto i senatori di nomina presidenziale rimangono in carica 7 anni, mentre il resto dei senatori rimane in carica finché dura l’amministrazione dalla quale provengono. Aberrante. Infine, perché in un Senato delle istituzioni locali il Presidente della Repubblica può nominare 5 senatori che hanno illustrato la patria in determinati campi? Nonsense.
Ottimo l’inserimento nell’Art. 64 dello statuto delle opposizioni. Rimane il dubbio sull’efficacia di questo statuto se verrà scritto da una Camera dei Deputati eletta con l’Italicum che garantisce una maggioranza schiacciante al partito di maggioranza relativa. Sarà interessante vedere quanto potrà essere garantista una Camera così composta.
Ottimo anche il dovere per i membri del Parlamento di partecipare alle sedute e alle commissioni. Peccato che uno dei due rami del Parlamento sarà eventualmente composto da persone che nella loro vita fanno i Sindaci e i Consiglieri regionali. Sarà interessante vedere quanto sarà in grado di espletare al meglio le funzioni di Senatore uno che già fa il Sindaco. Ad occhio e croce, senza possibilità di delega, sono due incombenze inconciliabili.
Nell’Art. 70 viene trattata la funzione legislativa della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Dire che è complicatissimo e scritto male è un eufemismo, ma tralasciamo lo stile e soffermiamoci sulla sostanza. Il bicameralismo paritario rimane per:
- Leggi di revisione costituzionale
- Leggi costituzionali
- Leggi di attuazione di disposizioni a favore delle minoranze linguistiche
- Leggi elettorali
- Leggi che riguardano gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane
- Disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni(ad esempio i consorzi tra Comuni)
- Leggi che stabiliscono norme generali, forme e termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle normative e delle politiche dell’Unione Europea
- Leggi che definiscono l’incompatibilità con l’ufficio di Senatore
Tutte le altre leggi sono approvate dalla Camera dei Deputati.
Al terzo comma c’è la descrizione del nuovo tipo di parlamento che risulterebbe se vincesse il Sì: un bicameralismo zoppo. Infatti viene prevista la possibilità per il Senato di esaminare ogni legge approvata dalla Camera, se a chiederlo è un terzo dei suoi componenti entro dieci giorni dall’approvazione della legge da parte della Camera. Se questo avviene, il Senato ha modo di presentare delle modifiche, che la Camera può accettare o respingere con una votazione. Ma se il Senato si riunirà due volte al mese, quando avrà il tempo di presentare ed elaborare tali richieste?
In ultimo si prevede l’autoregolamentazione tramite i rispettivi presidenti sulle questioni di competenza tra le due camere. Rimane difficile credere che questo meccanismo possa funzionare, a meno di un assoggettamento totale di una camera rispetto all’altra, come è facile che succeda se la riforma passasse.
Per concludere la parte riguardante il nuovo Senato bisogna citare l’Art. 80 in cui è prevista un’ulteriore competenza per il Senato in regime di bicameralismo paritario, cioè l’approvazione delle leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea. Le competenze legate strettamente all’Unione Europea a mio avviso sono degli appesantimenti inutili. La nostra Carta è nata prima dell’Unione Europea e nonostante ciò era già pronta ad inserirsi in un contesto sovranazionale. L’UE potrebbe mutare, o anche finire in un futuro. Ecco che trovare delle competenze a tutti i costi per giustificare l’esistenza della seconda Camera potrebbe comportare ulteriori problemi futuri.
Com’è possibile pensare che un Senato formato da Sindaci e Consiglieri Regionali, che saranno eletti dai Consigli regionali ma ancora non si sa come(non è dato saperlo leggendo la riforma, si rimanda a legge ordinaria), che si riunirà due volte al mese, che avrà un ricambio dei componenti frequente, sconnesso e continuo, possa riuscire ad espletare tutte le funzioni che la nuova Costituzione gli darebbe?
Inoltre immaginiamo che il nuovo Senato esista già, quando mai una sfilza di amministratori locali, la maggior parte dei quali non vuol far altro che carriera personale, si metteranno contro la Camera nella quale loro ambiscono ad entrare? Come farà il nuovo Senato ad avere la forza di controbilanciare l’altro ramo del Parlamento? Che tipo di raccordo potrà creare tra lo Stato e gli altri entri costituzionali? Con che libertà verificherà la giusta attuazione delle leggi dello stato? Conosciamo tutti le logiche che esistono a livello locale per la conquista di uno scranno di livello superiore, le cronache sono piene di voti di scambio, corruzione, lotte fratricide, eccetera. Non eleverei questo modo di praticare la politica al livello Parlamentare.
Strumenti di democrazia diretta
Nell’Art. 71 è normato lo strumento della legge di iniziativa popolare. Ad oggi basta raccogliere 50mila firme per poterne proporre una al Parlamento. Ma nella storia Repubblicana poche volte le camere hanno preso in considerazione tali proposte. Va bene quindi prevedere l’obbligo di discussione e di votazione da parte della Camera dei Deputati, anche se mai nessuno riuscirà per legge ad obbligare un qualsiasi Parlamento a discutere e votare una legge che non vuole discutere e votare. Va meno bene la previsione di triplicare il numero di firme necessarie a presentare tali proposte(150mila).
L’iniziativa di legge popolare è uno strumento di democrazia diretta a disposizione del popolo per influenzare il decisore pubblico riguardo un determinato tema. Con una soglia bassa di firme necessarie alla presentazione della proposta si garantisce la possibilità anche ad una minoranza di persone, ad una categoria non rappresentata, alla quale ad esempio non sono riconosciuti alcuni diritti, di esercitare il proprio potere di pressione sul Parlamento e sull’opinione pubblica. È stupido pensare di rendere questo strumento un fucile perfetto che faccia approvare al Parlamento la legge proposta dal popolo, è più ragionevole pensare di potenziare questo strumento per rendere il lavoro di lobbying popolare più efficace, più incisivo. Per questo non si può accettare il ragionamento di chi dice che siccome il Parlamento sarà obbligato a discutere e a votare allora è giusto triplicare il numero di firme necessarie. Perché il Parlamento in sede di redazione dei regolamenti parlamentari può rendere questa prescrizione efficace o nulla a proprio piacimento.
Altra castroneria sarebbe quella per cui bisognerebbe adeguare il numero di firme all’aumentata popolazione italiana rispetto a quella del ’46-’48. Se in quegli anni c’erano 40milioni di italiani, le 50mila firme necessarie rappresentavano lo 0,125% della popolazione. Se ora contiamo 60 milioni di italiani, le 150mila firme rappresentano lo 0,25% della popolazione. In realtà si raddoppia lo sforzo necessario rispetto al rapporto previsto originariamente in costituzione.
L’altro articolo che riguarda gli strumenti di democrazia diretta è l’Art. 75, in cui viene previsto un nuovo tipo di quorum per i referendum abrogativi. Il limite resta di 500mila firme, ma se si arriva a raccoglierne fino a 800mila il quorum da raggiungere per la validità del referendum scende alla metà dei votanti delle politiche precedenti. Non è male come meccanismo, ha una sua logica.
Rapporto Governo-Parlamento
Questo è il tasto dolente della riforma. Ciò che si critica di più è proprio lo squilibrio del rapporto tra il Governo e il Parlamento che si va a piegare a favore del primo.
Nell’Art. 72 si inserisce l’istituto della votazione a data certa. Il Governo può chiedere alla Camera dei Deputati di inserire entro 5 giorni la discussione di un disegno di legge ritenuto essenziale per l’attuazione del programma di governo, nel calendario dei futuri 70 giorni. In questo caso i tempi per il Senato per chiedere l’esame della legge si dimezzano(5 giorni di tempo).
L’Art. 73 certifica una volta ancora la contingenza di queste modifiche. Si inserisce la possibilità di mandare una nuova legge elettorale alla Consulta per un parere di costituzionalità preventivo, se lo richiede un quarto dei componenti della Camera o un terzo dei componenti del Senato entro 10 giorni dall’approvazione, dopodiché la Consulta è obbligata ad esprimersi entro 30 giorni. Allora mi chiedo, se non fossimo stati scottati dal porcellum avrebbe avuto senso inserire una norma del genere in Costituzione? Certamente no. Ecco che allora questo tipo di garanzia va nel novero di quelle di facciata, della serie “siccome facciamo leggi elettorali di merda, allora ce le facciamo vagliare preventivamente dalla Corte Costituzionale”. Leggermente triste la logica di cedere al ribasso su certe questioni.
Nell’Art. 77 viene cambiato leggermente l’istituto del decreto legge. Se venisse confermata la riforma i decreti legge verrebbero convertiti dalla sola Camera dei deputati. Inoltre viene aggiustato il tiro prevedendo che i decreti legge siano di immediata applicazione, dal contenuto specifico e omogeneo rispetto al titolo. In pratica si elimina il malcostume del milleproroghe e compagnia varia. Non male come cambiamento. Se da una parte però si limita l’uso spropositato dei decreti legge, dall’altra si apre un portone per il rafforzamento del potere legislativo del Governo con il voto a data certa. I problemi escono dalla porta e rientrano dalla finestra.
Sostanzialmente si va a cristallizzare in Costituzione una delle devianze che può avere un parlamentarismo, cioè il ricorso abnorme ai decreti legge da parte del Governo, aggirando di fatto sempre la funzione legislativa parlamentare. Grazie alla riforma, oltre che con i decreti, il Governo potrebbe assoggettare il Parlamento con lo strumento del voto a data certa.
Altro articolo che rafforza il potere del Governo rispetto al Parlamento è l’Art. 77, in cui viene previsto che la dichiarazione dello stato di guerra e successivo passaggio di poteri speciali al Governo sia dichiarato soltanto dalla Camera dei deputati. Questo meccanismo si può prestare a colpi di mano da parte di un Governo guerrafondaio o assetato di potere.
Nell’Art. 94 è regolato il rapporto di fiducia del Governo con il Parlamento. Ad oggi il Governo deve ricevere al fiducia da entrambe le Camere. Con la riforma la fiducia sarà data soltanto dalla Camera dei deputati. Questa norma fa pendere ancor di più la bilancia del potere verso il Governo.
Come abbiamo visto tutte le modifiche proposte al rapporto Governo-Parlamento sono a favore del rafforzamento dell’esecutivo, senza pensare a dei contrappesi che vadano a compensare l’aumento di potere.
Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale
La riforma modifica anche la modalità di elezione del Presidente della Repubblica(Art. 83). Ad oggi servono i 2/3 dei componenti fino al terzo scrutinio, dopodiché basta la maggioranza assoluta dei componenti. La modifica prevede che ad eleggere il Presidente della Repubblica siano deputati e senatori senza delegati regionali(a differenza di oggi). Fino al terzo scrutinio serve la maggioranza dei 2/3, dal quarto in poi basta la maggioranza dei 3/5 dei componenti, dopo il settimo scrutinio basta la maggioranza dei 3/5 dei votanti.
Il problema più grande di questo nuovo metodo è che viene eliminato un principio di imprescindibile importanza, cioè quello di calcolare i voti sulla base dei componenti dell’assemblea e non sul numero dei votanti. In questo modo si rende più difficile il dissenso, rendendo l’elezione del Presidente della Repubblica più facilmente manovrabile dalla maggioranza del momento. Il che non significa che la maggioranza si potrà eleggere da sola il proprio Presidente, ma che potrà farlo senza l’ampio consenso che serve oggi.
L’elezione dei giudici della Corte Costituzionale non cambia se non per i 5 di nomina parlamentare. Ad oggi questi vengono eletti dal Parlamento in seduta comune. Con la riforma la Camera eleggerà 3 giudici e il Senato 2. Quindi avremo tre giudici sostanzialmente di nomina governativa, e siccome cinque sarebbero stati troppi e sarebbe stata troppo palese l’ingerenza governativa, allora due vengono eletti “residualmente” dal Senato, che pure dato il suo altamente probabile asservimento all’altra Camera e al Governo, non avrà la forza e la libertà di scegliere senza ingerenze governative. Altro punto a favore del Governo e a discapito degli altri organi costituzionali.
Rapporto Stato-Regioni
Il fulcro del rapporto che riguarda le competenze legislative tra Stato e Regioni è l’Art. 117. Con la riforma costituzionale entrata in vigore nel 2001 è stata creata una situazione di concorrenza legislativa in molte materie, che ha dato molto lavoro alla Corte Costituzionale che si è dovuta occupare di dirimere moltissimi conflitti d’attribuzione tra poteri dello Stato. Questa conflittualità è data dalla non chiarezza dell’attuale 117, scritto in tutta velocità per portare a casa la riforma targata centro-sinistra. Se allora si fece l’errore di non chiarire per bene i confini tra Stato e Regioni nelle varie materie, oggi si commette un altro errore altrettanto grave, si taglia la testa al toro ri-accentrando quasi tutte le materie, e lasciando in via residuale alcune materie alla potestà legislativa delle Regioni, dando però al Governo la possibilità, se vuole, di legiferare anche sulle materie di competenza esclusiva delle Regioni, attraverso una clausola cosiddetta di supremazia, per cui l’interesse regionale soccombe di fronte a quello nazionale.
Il Governo potrà quindi legiferare su tutto ciò che vuole senza che nessuna autonomia locale potrà fare alcun tipo di rimostranza, senza che la popolazione possa ad esempio bloccare un’opera che va contro la salute pubblica influenzando gli organi regionali(vedi centrali a biomasse, inceneritori, discariche, ecc.).
Tirando le somme, questa riforma accentua enormemente il potere del Governo rispetto agli altri organi, senza prevedere alcun tipo di contrappeso. Bisogna sapere che un sistema equilibrato è un sistema sano, mentre invece un sistema squilibrato può portare a brutti inconvenienti. Se una casa ha i carichi spropositatamente appoggiati su un lato, nel momento in cui arriva un terremoto o una tempesta è più esposta a danni. Inoltre una volta danneggiata sarà molto più vulnerabile ed esposta a crolli ad una successiva scossa.
Se nel complesso è peggiorativa, non è del tutto da buttare. Ci sono alcune modifiche degne di nota(come la previsione dello statuto delle opposizioni e la possibilità di abbassare il quorum nei referendum abrogativi), altre puramente strumentali e propagandistiche(l’abolizione del Cnel, l’abolizione delle province e il “superamento” del bicameralismo paritario).
Per decidere se votare Sì o No domenica prossima, non serve andare a vedere chi ha proposto la riforma(peggiorerebbe la situazione), o quello che potrebbe succedere al Governo in carica se vincesse l’uno o l’altro schieramento. L’unica cosa da fare è leggere e capire l’attuale Costituzione, leggere e capire la proposta di riforma e poi tirare delle somme solo sulla base del nuovo funzionamento istituzionale.
A mio modestissimo avviso il Senato che si viene a creare sarà soltanto una camera-vetrina in cui gli amministratori locali potranno farsi venire l’acquolina in bocca sbirciando e assecondando ciò che fa la Camera dei Deputati, le proposte di legge popolare saranno annientate, il potere del Governo e in particolare del suo capo sarà enorme e darà campo libero a quel decisionismo senza intoppi che piace tanto a chi ha inclinazioni autoritarie.
In questo momento storico ci tocca decidere se vogliamo andare nella direzione di una maggiore democratizzazione dei processi decisionali o se vogliamo andare nel verso opposto. Gianfranco Pasquino nel descrivere le condizioni politiche che favoriscono una democrazia, parla di democrazia in entrata e di democrazia in uscita. Quella in entrata presuppone la congiunzione di due processi: liberalizzazione e inclusività, che vanno a creare un sistema poliarchico, cioè formato da tanti gruppi di potere in cui nessuno riesce ad egemonizzare il potere politico(teoria formulata da Dahl). Soddisfatte queste condizioni la democrazia è sostanzialmente conseguita. La democrazia in uscita invece riguarda il “grado di controllabilità delle decisioni prese dai governanti, di identificabilità delle loro responsabilità specifiche, di revisione delle decisioni, anche attraverso i referendum”.
Ecco, questa riforma non è inclusiva, non favorisce una poliarchia, non garantisce la controllabilità delle decisioni prese dai governanti e rende identificabili solo in parte le loro responsabilità specifiche. Apre invece la strada all’autoritarismo. Per me è No!
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