Mediazione interculturale, strumento di integrazione

La convivenza interculturale è un tema più che mai attuale, soprattutto in un paese come il nostro dove l’immigrazione crescerà sempre di più, con previsioni di 14 milioni di stranieri entro il 2065 su una popolazione complessiva di 61,3 milioni di abitanti. I mediatori interculturali sono una delle chiavi di volta per gestire l’integrazione, oggi sono una categoria ancora sottovalutata. Su di loro sono puntati i riflettori dell’incontro, organizzato dall’Ambito XX e l’Anolf (associazione nazionale oltre le frontiere), che ha visto protagonisti il Prof. Eduardo Barberis, dell’Università di Urbino; il Prof. Giuseppe Buondonno, assessore alla cultura della Provincia di Fermo; il Dott. Alessandro Ranieri, coordinatore dell’Ambito sociale XX.

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Impreparati, disinformati e privi di un qualsiasi tipo di visione a posteriori. Se cercate un soggetto a cui attribuire queste qualità è presto fatto:  l’animale italicus. Vive la propria esistenza in un non-senso intellettuale e sopravvive al passato senza accorgersene. L’italiano è un animale in emergenza, perché il suo vocabolario, da un po’ di anni a questa parte, non contempla più la parola pianificazione. E uno dei temi dove la pianificazione, intesa come visione futura di un modello paese, è proprio l’integrazione.

Sotto questo punto di vista l’Europa si è mossa già da tempo. Guadagnandosi l’appellativo di “Roccaforte” per le politiche restrittive di immigrazione. Mentre i singoli stati hanno adottato leggi interne, diversificate tra loro, per le politiche di integrazione. Fondamentali sia per il controllo dei nuovi arrivati, sia per il mondo del lavoro, sia per l’offerta di un modello vita nel proprio territorio. Si vi siete già risposti, tra questi non vi è l’Italia, che non possiede, ad oggi, nessuna visione di integrazione né consapevolezza di come sfruttare a proprio vantaggio una risorsa, gli immigrati (spesso giovani), in un paese anziano. I dati parlano chiaro, secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2012, nel 2011 sono state 42,5 milioni le persone costrette alla fuga in altri paese, di cui 15,2 milioni i rifugiati e 26, 4 gli sfollati interni. Nello stesso anno sono state presentante nell’UE 277mila domande di asilo, 37,35mila in Italia.

In un paese che sarà sempre più interculturale, i rapporti interpersonali con persone di culture e nazionalità diverse accresceranno maggiormente, noi siamo pronti? Quando si va a vedere che il welfare a livello nazionale viene tagliato e i comuni non avranno più le risorse per mantenere le figure, già oggi sottopagate e non effettivamente riconosciute, come i mediatori interculturali, si può capire la direzione intrapresa.

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A livello regionale qualcosa si è fatto. “Stiamo portando avanti il progetto M.I.R. (Mediazione Interculturale sociale e sanitaria nelle Marche) che abbraccia molti campi, tra cui l’assistenza sanitaria. Stiamo creando una mappatura completa dei mediatori della regione. Prendendo informazioni sia del lato dell’offerta, sia della domanda delle imprese”. Afferma Barberis, tale progetto è sotto la supervisione dell’Università di Urbino e viene finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro. “Ad oggi non vi è questa mappatura, esistono solo elenchi a livello provinciale o comunale, nonostante una delibera regionale che definisce la figura del mediatore. Dal punto di vista della domanda, l’educazione della committenza è fondamentale perché pagare cinque euro all’ora operatori qualificati significa non avere bene in mente cosa si vuole”. L’idea è quella di avere un protocollo di intervento, in modo che i rapporto tra le imprese, pubbliche o private, venga regolato e non passi più soltanto per quello individuale. “Non si può continuare ad usare queste figure come tappabuchi per le emergenze, dobbiamo smettere di vedere l’integrazione come un problema sociale”.

Il professore continua sottolineando l’errore della società italiana di demonizzare il conflitto, cercando sempre di pacificare. Perché è proprio il conflitto in se, non quando sfocia in violenza, che permette la risoluzione delle problematiche che vengono così affrontate a livello nazionale in modo serio. “Noi abbiamo una sistema di negoziazione molecolare, in ambito locale. Questo se in un caso è una soluzione immediata, dall’altro crea paradossalmente un deterrente per cui una problematica non trova risalto in ambito nazionale e non trova risoluzione”.

Sollevata anche il grave problema in ambito scolastico dell’incapacità di riconoscere le competenze dei bambini stranieri. L’esempio è quello delle scuole elementari o medie, dove un bambino che parla abbastanza bene 2-3 lingue e male l’italiano, viene spostato in classi inferiori alla sua età, con consecutiva problematica per il suo futuro percorso di studi o abbandono in molti casi delle scuole superiori. La mancanza nel nostro sistema scolastico di valorizzare le conoscenze. Buondonno è schietto. “Dobbiamo riaprire il conflitto negli enti locali perché mancano i fondi e rischiamo che venga cancellata la mediazione interculturale – e lancia una provocazione – in questo paese frammentato, più che integrarci dovremmo disintegrare schemi e contraddizioni, iniziando a pensare come rifondare completamente la comunità italiana”. È un fiume in piena l’assessore provinciale. “Dobbiamo fermare la dispersione entropica delle professionalità. Non possiamo affidare la mediazione soltanto agli operatori, dobbiamo farlo anche nelle scuole cercando modelli di convivenza che rompano gli stereotipi già nei bambini”.

Questa delicata e strategica tematica è stata toccata marginalmente in questa campagna elettorale. Come può uno dei temi che definiranno questo paese, e questa città, non essere oggetto di un acceso dibattito?

                                                                                                                        Marco Vesperini